Gli equilibrismi del nuovo 434 bis c.p. fra reato che non c’è, reato che già c’è e pena che c’è sempre.

A cura del prof. avv. Francesco Forzati

 

 

L’improprio ricorso alla decretazione d’urgenza, la duplicazione di tipicità preesistenti, la costruzione di un’offesa inesistente, il ricorso ad una tecnica normativa tautologica e contorta, la palese sproporzione fra disvalore del fatto e le pene previste, rendono il reato di raduno pericoloso un campionario dei vizi e dei limiti della legislazione penale più recente: un caso di “analfabetismo legislativo”, com’è stato definito, che
minaccia diritti costituzionali e garanzie fondamentali dell’individuo.
Il meccanismo sanzionatorio su cui è costruito il 434 bis oscilla infatti pericolosamente, fra il polo (della limitazione) del diritto e quello (della previsione) del delitto, in ragione di una tipicità scomposta che mette insieme spazi di libertà garantiti dalla Costituzione con condotte (già) descritte e sanzionate da reati preesistenti.
Questo reato senza offesa – o comunque dall’offesa inafferrabile – è peraltro corredato di un arsenale di misure sanzionatorie procedimentali, che spaziano dall’arresto in flagranza alla custodia cautelare, dalle misure di prevenzione alla confisca. Se a ciò aggiungiamo il possibile ricorso alle intercettazioni telefoniche, è chiaro che l’art. 434 bis c.p. raccorda il panpenalismo d’estrazione populista a quel regime di sorveglianza e di prevenzione, proprio del Penale di Polizia.
In tal senso sembra assistersi più che ad una svolta autoritaria, alla stabilizzazione delle misure di contenimento e di controllo sociale maturate nell’emergenza Covid: dal divieto di assembramento al reato di raduno pericoloso, è stato un attimo.
In un contesto storico che ha smarrito la relazione fra responsabilità personale e risposta sanzionatoria, maturano gli equilibrismi del nuovo 434 bis c.p. che – sospeso fra il reato che non c’ è e il reato che già c’è – approda ad una pena che c’è sempre, anche in assenza di processo.

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